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Uno storiografo, vissuto a cavallo tra il VI ed il V secolo A.C., Ecateo di Mileto, menziona nella sua opera otto centri indigeni preellenici situati nella parte settentrionale della terra degli Enotri, che successivamente i romani chiamarono “Brutium”, la nostra Calabria. Tra questi centri si dà risalto ad Arintha oggi Rende, a Menecino, cioé Mendicino dal fondatore Menecino ed “Ixia”, l’odierna Carolei. Ixia significa letteralmente terra del vischio. I fitti boschi di querce ed i castagneti, infatti, ancora oggi accolgono tra gli annosi rami, una rigogliosa vegetazione di questa pianticella caratteristica sempreverde, simbolo presso tutti gli antichi popoli, soprattutto del Mediterraneo, di virtù propiziatrici. Carolei è una località antichissima, come attestano i resti di alcune tombe greche rinvenute nella zona di Cozzo San Giovanni e della Stiddra, scavate nell’arida roccia: alcune sono di piccole dimensioni, segno evidente che erano destinate ad accogliere i corpicini di creature, morte in tenera età. La Stiddra é situata sulla valle del Caronte difronte al massiccio calcareo di monte Cocuzzo che fa parte della catena costiera. Attraverso il territorio di Carolei passava la via istmica protostorica che dal mare Ionio, dominato da Sibari, superata la fascia pedemontana della valle del Crati, valicava il passo di Potame, dirigendosi sulla costa del Tirreno alla foce del Savuto, il leggendario “Ocimaro”, con diramazione a nord per Clampetia, l’odierna Amantea, la terra dell’oracolo. Lungo tale via istmica, che rappresentava per gli scambi commerciali del Mediterraneo un ponte tra Oriente ed Occidente, passarono popoli venuti da lontano, i quali mescolavano la lingua di Omero all’idioma rozzo degli indigeni. L’antichità è attestata dalla presenza di alcuni cognomi, ognuno dei quali ha un significato legato all’antica storia del borgo: Reda significa gente di valore; Porco, guardiani delle torri; Pulice difensori delle porte. Così la toponomastica di fiumi, valli, monti rispecchia la lingua della gente che proveniva dal Peloponneso. Vurdu, zona vicino Vadue, tradotto dal greco significa via per condurre i buoi". Qualie é una frazione il cui nome deriva da "qualium", che significa cesto, recipiente. Alle Qualie, per l’appunto, sorge una fontana da cui scende l’acqua che Florestano Quintieri regalò al Comune. Una lapide, posta sulla fonte, ricorda l’insigne benefattore. Quest’arteria di comunicazione perse la sua importanza quando nel 132 a.C., in seguito alla conquista romana, fu aperta nella bassa valle del Crati la consolare via Popilia. Nel fiume Acherunzia (Caronte), morì nel 331 a.C. il re d’Epiro Alessandro il Molosso, zio di Alessandro Magno, venuto in Italia in difesa dei tarantini in lotta contro la confederazione bruzia. Tito Livio narra che il re, prima di partire per l’infausta spedizione, avesse consultato l’oracolo di Giove Dodoneo. Il responso era stato che il sovrano avrebbe trovato la morte sotto le mura di una città: Pandosia, sulla rive di un fiume, il Crati. L’oscuro vaticinio si avverò, ed é confermato dallo storico greco Strabone, che riporta l’episodio, localizzando il fiume fatale con le parole “Supra Cosentiam”. L’altro fiume é il Busento. Seguendo le sue valli fluviali, Annibale giunse a Crotone da dove lasciò l’Italia, per raggiungere l’Africa. Anche su questo fiume é fiorita una romantica leggenda. Sul suo letto sarebbe stata sistemata la tomba un giovane re, Alarico, capo dei Goti, sepolto con le ricchezze che aveva sottratto alla Roma dei Cesari. Gli schiavi, esecutori del lavoro, furono uccisi, perché rimanesse segreta l’ubicazione della tomba. L’avvenimento. tramandato dal goto Jiordanes, fu celebrato da A. Von Platen in una celebre ballata tradotta dal nostro Carducci. Un’altra leggenda, ricca di fantasia, come tutti i miti mediterranei, conferma l’antichità della razza. Tra orride gole di rocce calcaree, caverne di natura carsica scorre l’Alimena, il cui nome in greco significa l’inesorabile, proprio nelle vicinanze delle case di Treti (tretos in greco significa “perforato”, con chiaro riferimento all’azione erosiva dell’acqua sul carbonato di calcio). Verso ponente, un gruppo di case appartiene alla trazione di Pantanolungo che, sempre nella stessa lingua ricorda “il pianto di tutti i morti”, che, secondo la fantasia popolare, scendevano da quelle balze scoscese tra il mormorio assordante del torrente. Un paesaggio orrido che contrista l'occhio ed accende l’immaginazione. Sulla sponda destra la necropoli della Stiddra ed il colle di Scevoca, il cui nome rievoca le porte Scee di Troia. Scevoca significa: “case di occidente” ed infatti questa località rappresenta l’estremo occidente del territorio di Carolei. In questo scenario di rupi ed acque, di massi impressionanti sospesi nel vuoto, che ricorda il travagliato nascere di questa terra dalle profondità abissali del mare, quando il Creatore, come dice la Bibbia, separò la terra dall’acqua, rimane il mito che unisce il serpente ed il tesoro: il male ed il bene sempre in lotta tra loro; il bene può trionfare solo che l’uomo si lasci guidare dalla saggezza. Secondo la leggenda, all’interno della grotta, nella parete rocciosa di sinistra, si trova un tesoro, a guardia del quale c’é un serpente. I temerari che ambissero impadronirsi dell’oro avrebbero dovuto catturare la bestia ed imprigionarla, facendola entrare per intero in un’anfora. L’altro significato di questo mito è riferito alla grotta, che simboleggia il grembo della madre terra, il più sicuro ricovero dell’uomo primitivo ancora debole ed indifeso, ma destinato a divenire il dominatore del mondo. Ecco allora come leggenda e storia possano intrecciarsi e raccontare insieme di una terra tutta da scoprire, ancora addormentata sotto la polvere del tempo. Carolei, la valle del vischio, avrebbe successivamente assunto questo nome da Carolus, un nobile che si sarebbe prodigato con abnegazione per la popolazione del luogo. Verso la fine del X secolo, le invasioni saracene distrussero Cosenza, i cui abitanti si rifugiarono a Mendicino, Carolei, Rende, ripopolando tutti quei paesi che noi oggi chiamiamo “Casali”. Durante il feudalesimo, Carolei fu Contea degli Adorno di Genova; poi, divenuto ricchissimo, il feudo, coltivato ad uliveti, che iniziava dal ponte di Carolei e giungeva fino ad Amantea, appartenne alla marchesa Alarcon Mendoza della Valle, che dominò la zona fino a quando i francesi di Napoleone la spodestarono. Nel 1530 i Carmelitani dell’Antica Osservanza costruirono a Carolei il loro primo convento. All’arrivo dei francesi nel 1806, il convento fu sequestrato, ed occupato fino al gennaio del 1808. I padri che ne erano stati allontanati, non vollero mai più ritornarvi e l’edificio venne adibito a caserma della guardia provinciale, divenendo poi anche caserma dei carabinieri. Col titolo di S. Maria delle Grazie nel 1582 i Cappuccini eressero in Carolei il loro convento, soppresso dai Francesi nel 1811 e forse distrutto durante uno scontro militare. Sui resti di questo convento sorge oggi uno dei Parchi più belli del Mezzogiorno, ricco di piante esotiche, popolato da specie animali piuttosto rare. Al centro di questa natura incantevole sorge una villa signorile, abbandonata però da molti anni.