Le più importanti tappe della storia della Regione SICILIA

I primi abitanti della Sicilia, i sicani, gli elimi e i siculi, sono popolazioni di origine incerta, sicuramente non autoctone: nell'età protostorica le isole Eolie furono interessate dal fiorire di numerosi insediamenti, legati al commercio dell'ossidiana e collegati alle culture dell'Egeo.
Con questi popoli si incontrarono e si scontrarono i navigatori fenici, approdati per ragioni di commercio sul territorio isolano, e quindi i colonizzatori greci: a questi ultimi risale la fondazione di colonie quali Naxos, Syracusai, Selinunte, Gela, Lipara, avvenuta tra il VI e il IV secolo a.C. Dalla dominazione greca la Sicilia trasse un'impronta fondamentale per lo sviluppo successivo, anche se fu presto contrastata dall'arrivo dei cartaginesi, stanziatisi nell'area occidentale, da dove posero le basi per l'affermazione di un sistema integrato di città.
Quando i cartaginesi distrussero l'embrionale organizzazione politica dei greci, solo la città di Siracusa resistette sotto la tirannia di Dionisio e, anzi, estese il suo controllo alla zona dello stretto (IV secolo a.C.) mediante la creazione di un triangolo di centri fortificati (Messina, Taormina, Tindari). Con la fine della seconda guerra punica e la conquista della Sicilia ad opera di Marcello (212 a.C.), l'isola passò sotto la dominazione deiromani, che la divisero in due province e attribuirono alle città prerogative politiche differenti a seconda del loro maggiore o minore grado di fedeltà a Roma. Ma nella sostanza furono scarsi gli apporti culturali della prima fase della romanizzazione, così che la regione conservò per lungo tempo peculiari caratteri ellenistici. Lo prova il fatto che nessuna importante città siciliana fu fondata dai romani, i quali invece rivoluzionarono il paesaggio e gli insediamenti agrari, pianificarono una compatta struttura amministrativa e attuarono uno sfruttamento intensivo dei terreni. Nelle campagne più che nelle città è visibile l'eredità romana, come dimostra il proliferare di piccoli centri e il sorgere di sontuose villae, nel cuore dei latifondi, tra le quali primeggia quella di Piazza Armerina.

Dopo la caduta dell'impero occidentale si assistette nell'isola a un fenomeno eccezionale: il ritorno della cultura greca, conseguente al dominio bizantino e alla presenza dei monaci orientali, che fu tale da ripristinare pressoché esclusivamente la lingua greca. Ma l'autentica revisione delle strutture economiche e giuridiche isolane fu operata dagli arabi, che giunsero in Sicilia nella prima metà del IX secolo: a loro si deve la frantumazione dei latifondi in unità minori, la costruzione di un capillare sistema idrico, la salvaguardia dei boschi nell'interno. Con gli arabi si propagò la religione islamica, trionfante dappertutto tranne che nelle valli più riparate, dove permasero presenze greco-cristiane.

Alla Sicilia araba subentra la Sicilia normanna, dall'XI secolo, che è caratterizzata dal ritorno sotto la giurisdizione della chiesa di Roma e dall'instaurazione del sistema feudale nelle campagne. Il feudalesimo si rafforzò nei secoli successivi nella sua versione agraria e latifondista, tipica di un'economia prevalentemente cerealicola, inserita nei mercati europei del grano. La Sicilia divenne una terra di netto predominio aristocratico, sia nelle campagne sia nelle città, con fenomeni di accaparramento del potere tali che portarono, nella zona occidentale, alla divisione della sovranità tra due sole famiglie, i Chiaromonte e i Ventimiglia. Né valse la conquista spagnola a scalfire l'egemonia dei baroni, in quanto furono modeste le funzioni di governo che la Spagna attribuì ai suoi viceré di Sicilia, sin dal 1415, anno dell'insediamento del governo spagnolo. Con Carlo V la Sicilia assunse un ruolo importante nel sistema di controllo del Mediterraneo: possenti fortificazioni, strade, interventi per incrementare la produzione agricola, furono le scelte attuate allo scopo di difendere non solo militarmente l'isola.

Il governo spagnolo terminò nel 1713, quando alla pace di Utrecht, che chiudeva la guerra per la successione di Spagna, fu attribuita ai Savoia, il cui dominio, finendo nel 1720, fu troppo breve per lasciare tracce significative. Dopo quindici anni di dominazione austriaca, la Sicilia fu annessa al regno di Napoli nel 1735, contemporaneamente all'ascesa dei Borboni sul trono partenopeo. Pur ospitando un viceré, Palermo vide affievolirsi l'antico privilegio di capitale che dovette da allora condividere con Napoli.

Negli anni Ottanta del XVIII secolo un energico viceré, cresciuto alla cultura dell'Illuminismo più radicale, il marchese Carlo Caracciolo, avviò un nuovo intervento politico, volto ad arginare lo strapotere dei baroni e a costruire le basi di un efficiente sistema fiscale e amministrativo. Nell'età napoleonica la presenza dei Borboni e, soprattutto, la protezione navale garantita dagli inglesi, mantennero la Sicilia indipendente dalla dominazione francese: Ferdinando IV nel 1812, pressato dagli inglesi, concesse la costituzione ai siciliani, abolendo i privilegi feudali. A tale riforma si collega l'origine della mafia, braccio armato dei baroni che la utilizzavano come un potere, intimidatorio e violento, parallelo a quello dello stato. Il testo del 1812 fu una costituzione dai tratti troppo aristocratici per potere divenire punto di riferimento dei liberali insorti nel 1820-21 e tanto meno dei rivoluzionari democratici del 1848: va ricordato che la sommossa di Palermo, nel febbraio di quell'anno, fu la prima delle tante insurrezioni europee del biennio 1848-49.

Unita al Regno d'Italia dall'impresa militare di Garibaldi, nel 1860, la Sicilia dovette confrontarsi con i sistemi economici delle altre aree nazionali: lo sviluppo delle zolfatare portò alla crescita di alcune città portuali come Catania, mentre si posero le prime strutture di interesse generale (ferrovie, strade, porti). La storia della Sicilia negli anni della Repubblica è segnata da diversi nodi: l'autonomia regionale con lo statuto del 1946; il movimento separatista postbellico, crogiolo di rivendicazioni di vario segno nel quale la mafia esercitò un peso rilevante; l'intervento industriale finanziato dallo stato (Gela, Augusta) con i risultati inferiori alle attese; il dilagare del fenomeno mafioso con attacchi frontali alle istituzioni pubbliche, culminato alla fine degli anni Ottanta e da allora contrastato con maggiore efficacia dallo stato e da una nuova cultura antimafiosa; e infine la recente riscoperta delle potenzialità culturali e paesaggistiche, che attendono solo di essere pienamente valorizzate.