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Nella Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata il Racioppi così scrive di Calvera: "In una carta greca del 1053 questo paese è scritto Kalauras. Abbiamo dunque da questa forma il significato della parola che è Bell'aria". L'origine del paese è incerta, ma può collocarsi, intorno al IX-X secolo, al tempo dell'arrivo dei monaci greci, quando sorsero numerosi monasteri basiliani anche nelle contrade più interne del massiccio del Pollino. Alla fine del X secolo Calvera dovette godere di una relativa prosperità economica, favorita dell'enorme lavoro di dissodamento dovuto ai monaci basiliani della zona: in essi le popolazioni rurali trovarono coloro che li ammaestravano nelle tecniche agricole, li difendevano dalle angherie dei potenti e li assistevano durante le malattie. È del 1041 un documento in cui si parla di un Giovanni e un Urso, probabilmente abitanti in Calvera, indicati come Longobardi e si menziona l'esistenza di un monastero intitolato all'Archistratagos. Un'altra notizia documentata su Calvera è del 1134 e consiste nell'atto di compravendita del Castello di Calvera da parte del Beato Nilo, archimandrita del monastero di Carbone, dai fratelli Alessandro e Riccardo, signori di Chiaromonte. La signoria del Monastero di Carbone durò per poco più di tre secoli, fino alla metà del XV secolo quando Calvera fu occupata da Ercole I Sanseverino, il quale presumibilmente contestava la legittimità dell'atto di cessione del 1134. Così il feudo di Calvera rimase ai Sanseverino fino al 1732, quando, ad istanza dei creditori di Don Francesco Sanseverino, fu venduto all'asta venendo aggiudicato al Barone Don Giuseppe Donnaperna di Tursi. In seguito alla scomparsa, senza parenti successibili, della Baronessa Donna Felicia Donnaperna, nel 1786 Calvera fu devoluta al Pio Monte di Pietà e successivamente riacquistata dalla stessa famiglia nel 1793 da Giulio Cesare Donnaperna. Le condizioni economiche nel XVIII secolo erano simili a quelle degli altri paesi infeudati dell'epoca: gli abitanti erano poveri braccianti dediti a coltivazioni di sussistenza su di un terreno poco fertile; il catasto onciario del 1743 rivela, comunque, un patrimonio zootecnico ragguardevole. Dalla Statistica Murattiana apprendiamo pure che a Calvera si manufatturavano chiodi per il consumo locale, si fabbricavano pignatte ed altri vasellami, nelle produzioni tessili si faceva uso della spola e si producevano tele grossolane di ginestra. Nel 1875 si verificò una rovinosa frana che toccò parte dell'abitato e metà della Chiesa Madre.