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L'origine della città, certamente antichissima, è incerta ed oscura: la sua origine potrebbe essere stata pelasgica o sabellica o di stirpe italo-greca (Riviello). Indubbiamente la sua posizione equidistante tra le colonie greche di Poseidonia e Metaponto deve averla esposta al soffio della civiltà greca, molto più gentile e progredita rispetto ai costumi di vita spartani che dovevano caratterizzare queste aspre e fiere popolazioni montanare. Strabone e Plinio annoverano Potentia tra le più antiche città libere ed indipendenti della Lucania, ed anche se non si ha notizia di sue monete o altri ritrovamenti che ne attestassero pienamente questa autonomia, essa dovette effettivamente rimanere libera fino a quando Roma non iniziò la sua politica di espansione. L'atteggiamento delle popolazioni lucane e di Potenza nei riguardi di Roma fu sempre di aperta ostilità ed in occasione della battaglia Canne, si schierò dalla parte di Annibale. In seguito alla sconfitta, Annibale si ritirava in Africa, lasciando Potenza alla vendetta di Roma che si abbatté spietata sulla città, riducendola da municipium a colonia militare, sfruttandone la strategica posizione geografica. La città seguì poi le vicissitudini dell'Impero fino alla sua decadenza, seguito dalle catastrofiche invasioni barbariche. Vi giunsero allora i Bizantini che dettero alla regione il nome di Basilicata, dai basilici o governatori che l'amministrarono e successivamente i Normanni sottomisero tutta la Basilicata per unirla a Calabria e Sicilia. In tale epoca le scorrerie dei Saraceni minacciarono anche una città come Potenza, lontana dalle coste e arroccata sui contrafforti dell'Appennino all'interno. Presso Potenza una località denominata Campo Saraceno conserva nel nome il ricordo delle incursioni arabe. Il periodo normanno, comunque, fu ricco per Potenza di importanti avvenimenti; essa rivestiva con particolare importanza il ruolo di città vescovile: si vuole che il suo primo vescovo fosse Amando o Amanzio, altro pastore fu Gerardo da Piacenza, salito alla sedia vescovile il 1111 e morto il 1119: egli fu in seguito santificato ed è stato eletto a patrono del città. Con le nozze di Costanza di Altavilla, ultima erede dei Normanni, con Enrico VI figlio del Barbarossa, subentrarono nel regno del sud gli Svevi. Potenza inquieta come sempre, seguì l'aquila sveva di Federico II il quale, nonostante questo, sospettandola di dubbia fede la punì devastandola. Il maestoso castello di Lagopesole, non distante dalla città, ed il rinnovato castello normanno di Melfi rimasero a monito di autorità e di potenza. Questa volta Potenza seguì la sorte di Manfredi e di Corradino e, quando il giovane e biondo re cadde decapitato in piazza del Carmine a Napoli, le città che avevano parteggiato per lui, come Potenza, furono soggette alla punizione ed all'ira del vincitore Carlo d'Angiò che, per mano dei suoi fedelissimi Conte di Belcastro e Ruggiero Sanseverino, conte di Marsico, infierì sui potentini ritenuti ribelli e sul centro abitato che per gran parte fu raso al suolo. Ma maggiori ed ancor più gravi devastazioni ed incendi distrussero la città allorquando il 18 dicembre 1273, uno dei tanti terremoti distruttivi si abbatté contro le sue stremate ed affamate popolazioni. Gli Angioini frazionarono le terre del sud tra vassalli francesi sotto i quali le città, tra cui Potenza, non godettero certo pace e prosperità, anzi esse furono spesso coinvolte nelle guerre dinastiche che travagliarono questo periodo storico: verso il 1390 re Ladislao, cui contestava il regno il cugino Ludovico d'Angiò, pose l'assedio alla città ed ad essa però usò clemenza il 10 aprile 1399 con decreto reale scritto "in campo Felia prope Potentiam", sollevandola dalla dipendenza feudale per qualche tempo. Nel 1414 Giovanna successe al fratello Ladislao al trono degli Angiò e la città fu ancora coinvolta nelle lotte che seguirono con i vari pretendenti o predestinati al trono. Ebbero ancora la città Francesco Sforza, che la passò a Michele Attendolo di Cotignola, e, per brevi periodi, gli Zurlo e Iacopo Caracciolo. Sopraggiunti gli Aragonesi, il re Alfonso la sottrasse alla contea degli Attendolo e la concesse con il suo contado al suo fido Don Indico de Guevara, giunto con lui dalla Spagna; a don Indico seguirono don Antonio e quindi don Giovanni che, quale terzo conte di Potenza, partecipò dalla parte degli Aragonesi alle guerre contro Carlo VIII e Luigi XII. Don Alfonso de Guevara, sesto conte di Potenza, maritò sua figlia Beatrice ad Enrico di Loffredo, marchese di S. Agata e di Trevico, è così la città, che costituiva la dote nuziale, passò ai Loffredo che già vi erano stati signori in epoca normanna, prima dei Sanseverino. L'antico castello di cui oggi non resta che una sbocconcellata torre, fu da don Carlo Loffredo, figlio di Beatrice Guevara e di Enrico, trasformato in monastero. Nelle lotte di predominio che seguirono tra Francesi e Spagnoli per la divisione del regno nella seconda metà del '600, Consalvo de Cordova e Luigi d'Armagnac, duca di Nemours, fatto un armistizio, convennero a Potenza per negoziare l'accordo, che non fu raggiunto tanto in breve tempo le ostilità ripresero e, cacciati i Francesi da tutto il reame, questo divenne provincia spagnola. Tutto il Mezzogiorno d'Italia, oramai Vicereame spagnolo subì una degradazione politica e morale che sfociò nella rivolta di Masaniello nel 1647. Anche Potenza agitata da fazioni contrastanti, fu teatro di moti di intolleranza popolare antispagnola che comunque vennero facilmente repressi e che portarono all'insorgenza di fenomeni di violenza nelle sue campagne, sempre più spopolate. Nel 1694 un altro violento terremoto la distrusse quasi per intero e ben poco fu fatto dai dominatori spagnoli in favore delle popolazioni e per la ricostruzione della città. Cessata la dipendenza della Spagna, nel Settecento l'Italia Meridionale salutò l'avvento dei Borboni, prima dinastia italiana dopo tanto succedersi di case regnanti straniere. Soprattutto Carlo di Borbone portò una ventata nuova di rinnovamento sociale e di pace ma, come dice il Riviello nella "Cronaca Potentina"..., "le riforme di Carlo III e del ministro Bernardo Tanucci o non vi giunsero o vi lasciarono appena superficiali ritoccature..." nel segno di un destino sempre uguale per la Basilicata e Potenza. Durante il regno di Ferdinando IV, succeduto bambino al padre salito al trono di Spagna dopo la morte senza eredi maschi di suo fratello Filippo VI, a seguito delle ripercussione che ebbero anche a Napoli gli avvenimenti francesi della fine '700, nel 1799 fu proclamata la repubblica Partenopea sostenuta dalle armi di Francia; il re si rifugiò in Sicilia e Potenza fu tra le prime città del sud che alzò l'albero della libertà. Ma il movimento repubblicano che a Potenza faceva capo al vescovo Giovani Andrea Serrao, calabrese, fu rapidamente represso dal partito borbonico che per la restaurazione si avvalse delle bande del cardinale Fabrizio Ruffo, che ad una ad una soffocò nel sangue le tante neo repubbliche. Nello stesso anno il vescovo Serrao fu ucciso mentre, si disse, "nel suo letto pregava e benediceva.." ed il colonnello Sciarpa, distaccato dal Ruffo dalla sua direttiva principale di marcia piegò sulla città e la prese, senza peraltro abbandonarsi a distruzioni o a saccheggi. Dopo la vittoria di napoleone ad Austerlitz e la completa sconfitta dell'Austria, Napoli fu occupata dal generale Massena, Ferdinando fu dichiarato decaduto ed i Borboni dovettero fuggire per la seconda volta a Palermo. I Francesi ritornarono anche a Potenza, prima nel 1806 con Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone e poi nel 1808 con Gioacchino Murat, cognato dell'Imperatore e suo fedele generale in molte campagne di guerra. Sotto il dominio francese il 1806 Potenza fu elevata alla dignità di capoluogo della regione; in verità già al tempo del Tanucci, sotto Ferdinando IV, si era stabilito di portare la sede della Provincia di Basilicata a Potenza, ma per riguardo verso il conte Carlo Loffredo, feudatario della città e devoto alla casa regnante, al cosa non fu realizzata. Dai francesi, soprattutto per merito di Murat, fu introdotto un profondo mutamento nella amministrazione della Basilicata, lasciata nel completo abbandono da Ferdinando IV: furono molto migliorate le vie di comunicazione interne e con le regioni limitrofe, migliorata l'istruzione ed introdotte nuove norme igienico-sanitarie quali l'istituzione dei cimiteri fuori dai luoghi abitati (le sepolture avvenivano allora nelle chiese, in sarcofagi o cappelle per le famiglie nobili ed il clero ed in fosse comuni per il popolo). Furono dettate nuove normative sugli acquedotti, sulla prevenzione e l'isolamento di focolai di epidemie infettive, nuove modifiche per il ricovero degli infermi negli ospedali e nei luoghi di assistenza, quasi esclusivamente all'epoca gestiti da comunità religiose, ed emesse nuove disposizioni sulle costruzioni, tra le quali definite norme antisismiche (già in verità decretate a suo tempo da Carlo III) poi soppresse dopo la proclamazione della Unità d'Italia dai primi governi piemontesi. La fine del periodo francese estremamente repressivo nella sua prima fase lasciava la città di Potenza certamente meglio di quanto l'avesse trovata, ma come sempre dopo un periodo di trasformazioni sociali ed amministrative il ritorno all'antico portò vari scompensi e tra questi la ricomparsa del brigantaggio, che già aveva provocato orrore e sangue dopo la reazione del 1799. Le varie motivazioni sociologiche nelle quali questo fenomeno ricorrente nel sud affonda le sue controverse radici, pur avendo alla base sempre motivi di reazione ad abusi ed ingiustizie subite, in un contesto ambientale tutto particolare, non sembra fossero in tale epoca sostenute da motivi accettabili come nei successivi anni sotto Ferdinando II e poi infine dopo l'Unità d'Italia. La città di Potenza, comunque, come centro abitato non ebbe a soffrire anche dopo l'azione diretta di questo flagello, purtuttavia la fama di molti briganti atterrì spesso la nostra città ed i loro nomi e le loro sanguinose gesta rimasero sempre vive nella memoria degli abitanti e nelle leggende popolari, anche in epoca successiva. Il 17 giugno 1815 il vecchio re Ferdinando rientrò per la terza volta a Napoli assumendo, secondo quanto sancito dal congresso di Vienna, il titolo unico di Ferdinando I re del regno delle Due Sicilie. Subito dopo, un moto rivoluzionario, scoppiato nella notte tra l'1 e il 2 luglio 1820 guidato dal generale Florestano Pepe, indusse il re a concedere e giurare fede alla costituzione, ancora una volta repressi in nuovi propositi di libertà, ancora una volta repressi nel sangue: Domenico Corrado ed altri da Potenza furono giustiziati dalle truppe borboniche. Ferdinando I morì il 4 gennaio 1825, gli successe il figlio Francesco Gennaro Giuseppe duca di Calabria, col nome di Francesco I; alla sua morte, avvenuta poco dopo l'8 novembre 1830, gli seguì, col nome di Ferdinando II, il figlio. La salita al trono dell'appena ventenne Ferdinando fu accolta nel regno con grandi speranze, che nei primi anni ebbero riscontro in una politica di riforme, di rinnovamento delle istituzioni e della amministrazione civile e militare. Nell'autunno del 1846 il re Ferdinando si recò in visita a Potenza, sollecitato dall'intendente duca della Verdura che gli illustrò le opere più recenti eseguite nella città, tra le quali la nuova piazza dell'Intendenza - l'attuale Piazza Mario Pagano -, la sistemazione di Piazza Sedile con la costruzione dell'arco del Muraglione e l'apertura della strada che da Borgo Santa Lucia per il gomito del cavallo, raggiungeva lo stesso Muraglione, indicata come Strada Meridionale, ed altre costruzioni. A questo periodo seguì, contrariamente ad ogni aspettativa, una seconda fase repressiva ed intransigente, che sfociò nella rivolta del 1848. Il protagonista assoluto di tale patriottica ribellione fu a Potenza Emilio Maffei, che riunì in città nel palazzo Loffredo il 5 giugno i delegati delle Provincie confinanti, i quali sottoscrissero un "memorandum" a sostegno e difesa della libertà. La repressione fu dura ancora una volta in tutto il regno ed anche a Potenza, come dice il Riviello..."le carceri si riempirono di accusati, mentre la polizia molestava pacifici e sospetti". Il terribile terremoto del 1857, distruggendo ancora una volta gran parte della città, aprì nuove tremende ferite e raffreddò notevolmente le attività e le trame dei patrioti e solo due anni dopo, nel 1859 le cospirazioni antiborboniche iniziarono a rialacciarsi in modo concreto, tanto che l'anno successivo, dopo lo sbarco di Garibaldi nel continente, cominciava la dissoluzione delle truppe borboniche, comandate da ufficiali vecchi ed incapaci e già si iniziava ad intravedere in modo tangibile un processo di inevitabile disgregazione del regno del Sud: il 16 agosto 1860 la città si sollevava in armi ed il 18 dello stesso mese veniva proclamata l'unione al Regno d'Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II di Savoia. Il brigantaggio meridionale, dilagato nel sud subito dopo l'Unità, alimentato da correnti filoborboniche nella speranza di una restaurazione e sostenuto dalle tradizionali ragioni di scompenso sociale, dalla miseria, dall'ignoranza e dall'incapacità dei nuovi governanti piemontesi a comprendere i veri problemi delle classi oppresse del meridione, insanguinò molti centri della provincia, ma tenne fuori ancora una volta la città di Potenza dagli avvenimenti più cruenti, anche se la maggior parte delle direttive operative e strategiche della repressione furono coordinate ed attuate proprio nel capoluogo della regione. Gli anni successivi del regno d'Italia fino alla Prima Guerra Mondiale, furono caratterizzati da lotte politiche condotte sempre in uno spirito di rispetto e correttezza anche se appassionate ed accese in duelli polemici legati alle personalità più rappresentative degli uomini che ne furono protagonisti. Le vicende che nel primo dopoguerra tanto travagliarono non solo le città del Nord, ma anche molte città del Sud, anche di regioni limitrofe e che alla fine portarono all'avvento del fascismo al potere, videro la città di Potenza distinta in una moderazione ed in una esemplare accettazione ed assimilazione degli aspetti più esasperati del nuovo clima politico che si affermò in tali anni. Eccessi di violenza, atti di grossolana limitazione della libertà individuale o di disprezzo della personalità umana furono solo episodi isolati durante l'intero periodo della dittatura fascista a Potenza. L'immane tragedia legata al II conflitto mondiale richiese alla nostra città un tributo di innumerevoli vite umane e provocò lutti, la cui memoria non è ancora spenta in tanti cittadini. Nel settembre 1943 alcuni bombardamenti aerei, non completamente richiesti da esigenze strategiche e cioè dall'intento di tagliare le comunicazioni stradali e ferroviarie che consentivano l'afflusso delle truppe tedesche alle zone dello sbarco alleato, avvenuto il 9 sulle spiagge del litorale salernitano, costarono alla città molte vittime innocenti tra la popolazione civile e portarono alla distruzione, coi pochi obiettivi militari esistenti, di molte costruzioni civili, private e pubbliche, tra le quali l'Ospedale S. Carlo e la Cattedrale. Nel dopoguerra finalmente, con il ritorno alla vita democratica, la ricostruzione delle ferite della guerra e la comparsa all'orizzonte della Nazione di nuovi obiettivi, iniziava per Potenza la espansione urbana e la crescita di tanti nuovi poli di sviluppo civile e sociale, anche se questa crescita avviava la progressiva scomparsa di molte testimonianze del passato di questa città.