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Dalla sommità del paese, che prese il nome dal dio Giano, Capo di Giano, Caput Jani, si apre sulla pianura variegata un vasto orizzonte, chiuso dapprima dai monti vicini e poi, in lontananza, dalle cime più alte dell’Appennino: il Corno Grande, il Monte Amaro ed il Sirente. Già prima dei Romani, i monti circostanti erano abitati dai popoli italici. I villaggi, ben organizzati e fortificati, avevano raggiunto un elevato grado di civiltà e dominavano l’altopiano. Avvicinandosi al paese ci appare maestosa ed imponente la torre quadrangolare dell’antico recinto fortificato che ospitava una guarnigione militare e, all’occorrenza le popolazioni del luogo. Dell’antico maniero che ebbe origini alla fine del XI sec., oltre al robusto mastio, oggi utilizzato come campanile, restano tre torri inglobate nelle abitazioni e due porte di accesso. Sui resti del castello vennero costruite, nel ‘600 e ‘700, la chiesa parrocchiale dedicata a San Benedetto e l’oratorio dedicato alla Madonna ed al culto dei morti. Il primo edificio, a croce latina, è adorno di dieci cappelline. Particolarmente apprezzabile è l’armonia creata dalle proporzioni sapienti del suo interno: il giusto equilibrio tra la pianta e l’alzato le conferiscono un aspetto maestoso. L’annesso oratorio, della Confraternita dell’Addolorata, è interamente affrescato con opere settecentesche. Un importante coro ligneo ed un pavimento in pietra policroma le conferiscono un particolare aspetto. Dalla sommità del Paese, si dipartono le stradine medievali del centro abitato, ben conservato negli aspetti tipologici. Qua e là si scorgono pietre del periodo longobardo, portali, stipiti ed architravi scolpiti. Nelle immediate vicinanze del paese si incontra l’agreste chiesetta di San Pietro, un autentico gioiello a ridosso del bosco e delle sporgenze rocciose della montagna. L’edificio ebbe origine nel IX sec. Ma le sue attuali forme risalgono al sec. XII. Conserva al suo interno uno splendido ciborio di gusto goticheggiante, tre edicole con le medesime fattezze e numerosi affreschi. Il passato squisitamente agricolo del luogo, con le colture di cereali, legumi e zafferano, è magistralmente rappresentato dalla chiesa di Santa Maria di Centurelli. Nel bel mezzo della campagna, adiacente al percorso della romana via Claudia Nova, in un importante incrocio del Regio Tratturo, appare maestosa a chi percorre la SS 17 e ricorda la ricca economia pastorale di un tempo e i percorsi transumanti. Salendo per la strada provinciale, si giunge a Bominaco, l’antica Momenaco sede, un tempo di uno dei più ricchi e celebri monasteri benedettini. La tradizione vuole che le origini del luogo, risalgano tra il III e IV, quando San Pellegrino, proveniente dalla Siria, subì il martirio a Bominaco. Carlo Magno (così come attestato in uno pseudo diploma del Chronicon Vulturnense 774-814) seppe della fama raggiunta dal Santo e si interessò per la costruzione di un più grande oratorio sul sacello originario. Si insediarono i primi monaci e nel 1001 il conte Oderisio donò vaste proprietà al monastero. Restano oggi solo la chiesa abbaziale di Santa Maria Assunta e l’oratorio di San Pellegrino. La chiesa (sec. XII) ha un’architettura straordinaria. Lo stile romanico abbaziale tre navate con transetto rialzato e absidi circolari raggiunge in questo edificio la forma più sublime e armoniosa. Le originali colonne interne sono sovrastate da splendidi capitelli riccamente decorati. A metà navata si staglia l’ambone del 1180 eretto per volontà dell’Abate Giovanni, adorno di fogliame e figure simboliche. Sul presbiterio, con lo sfondo delle absidi semicircolari, s’innalzano, il ciborio del 1223 e il candelabro pasquale, la cui colonna tortile ha la forma slanciata e morbida e sorregge, in sommità, il capitello più raffinato del tempio. Il gusto ancora bizantineggiante, ricama una corona circolare che è quasi un merletto. L’esterno trova la massima realizzazione artistica nelle absidi in pietra calcarea. Slanciate, con un’accentuata eleganza e ricchezza di ornamenti, ostentano tutta la loro superba bellezza. Il vicino oratorio risale alla seconda metà del 1200. L’esterno, semplice ed essenziale, è appena ingentilito da un rosone sul retro e da un armonioso pronao del ‘600 sul fronte. Ma non appena varcato l’ingresso, un magnifico colpo d’occhio sull’unica aula divisa a metà da due plutei, con volta leggermente ogivale, conduce in un luogo che è l’apoteosi della pittura benedettina in Italia. Una girandola di affreschi che, con tecnica mirabile e sapienza storica, rendono il luogo una formidabile fonte di nozioni su tutta la Storia Sacra. Tre diversi maestri pittori (sicuramente monaci), il Maestro dell’Infanzia, della Passione e quello Miniaturista, hanno rappresentato altrettanti temi riguardanti l’infanzia di Cristo, la sua passione ed il famoso calendario bominacense. In alto, sul monte Buscito, si staglia la sagoma del recinto fortificato di difesa su cui troneggia la splendida torre circolare. Tornando giù verso il Paese e attraversandolo per l’unica strada, si scorgono alcuni pregevoli edifici abitativi che denotano la loro origine rinascimentale nei prospetti regolati da aperture ornate con stipiti in pietra. Proseguendo per la medesima direzione la strada si inerpica nuovamente verso la montagna. Lungo un sentiero si giunge all’Eremo di San Michele, suggestiva grotta dedicata al Patrono del paese ed al Santo protettore dei pastori, che da qui partivano per il Tavoliere dopo la rituale benedizione.